La stagione d’oro del fantasy cinematografico 1984-1987
Tra il 1984 e il 1987 il cinema fantasy attraversò uno dei periodi più fertili, inattesi e influenti della sua storia recente, un quadriennio in cui Stati Uniti ed Europa sperimentarono linguaggi visivi nuovi e diedero corpo a universi narrativi ibridi, spesso popolati da creature animatroniche, mondi onirici e atmosfere sospese tra fiaba e paura. Il 1984 fu l’anno che inaugurò questa stagione straordinaria, rivelando fin da subito la duplice anima del genere: da un lato la dimensione lirica e mitopoetica del fantasy europeo, dall’altro l’ironia, la libertà linguistica e la spinta pop della produzione americana.
The NeverEnding Story rappresenta il volto più classico e al tempo stesso più visionario di questa tradizione europea. Con il suo mondo costruito attraverso scenografie immense, creature meccaniche e un’estetica che alterna malinconia e meraviglia, il film di Wolfgang Petersen diventa il manifesto del fantasy pre-digitale. La sua riflessione sulla forza dell’immaginazione, incarnata nell’interazione tra Bastian, Atreyu e il mastodontico universo di Fantàsia, ne fa una delle opere più amate e studiate di sempre.
Sul fronte americano, lo stesso anno vede esplodere Gremlins, autentica fiaba nera diretta da Joe Dante, in cui l’horror slapstick, la satira sociale e la creatività artigianale convergono in un film capace di scatenare entusiasmo, polemiche e una ridefinizione delle classificazioni cinematografiche. Più vicino alla commedia ma altrettanto importante per l’espansione del genere è Ghostbusters, che porta il soprannaturale nel cuore di New York e trasforma fantasmi, demoni e portali dimensionale in fenomeni pop, grazie a un uso pionieristico degli effetti speciali e a una sorprendente fusione tra paranormale e humour. Questi tre titoli disegnano il perimetro del nuovo fantasy: immaginifico, contaminato, libero da regole rigide e capace di parlare a pubblici molto diversi.
Il 1985 come laboratorio di sensibilità dark, sperimentazione e romanticismo epico
Se il 1984 aveva gettato le basi, il 1985 spinse il fantasy verso territori più coraggiosi e spiazzanti, aprendo la strada a una sorprendente ondata di film cupi, romantici o visivamente estremi. Tra questi spicca Legend, l’opera più radicale di Ridley Scott dopo Blade Runner. Qui il regista abbandona il realismo distopico per un’estetica della fiaba sublime e inquietante: foreste immerse in luce diffusa, creature elaborate con uno sforzo artigianale imponente e un antagonista – l’iconico Darkness interpretato da Tim Curry – che incarna uno dei vertici del trucco prostetico degli anni Ottanta. Sebbene accolto tiepidamente alla sua uscita, Legend è oggi considerato un film chiave per la definizione dell’immaginario dark-fantasy. Ancora più estremo nel suo rapporto con il perturbante è Return to Oz, che rilegge il mondo di Oz senza tinte sgargianti, restituendo invece una fiaba spezzata, gotica e inquietante. I suoi Wheelers, i palazzi deserti, la principessa Mombi dalle teste intercambiabili rappresentano un immaginario troppo adulto per il pubblico dell’epoca ma perfettamente in linea con la sensibilità moderna. Diverso il caso di Ladyhawke, che porta il fantasy medievale su un terreno più romantico e luminoso: il racconto della maledizione che separa i due amanti interpretati da Michelle Pfeiffer e Rutger Hauer diventa metafora di un desiderio impossibile e trova nel paesaggio europeo e nella regia di Richard Donner un equilibrio tra avventura, sentimento e suggestione. In tutti e tre i casi, il 1985 mostra un genere capace di abbracciare la malinconia, il lirismo, il gotico e il melodramma, ampliando enormemente la gamma emotiva del fantasy cinematografico.
Il 1986 e la nascita della fantasia pop: creature, miti urbani e humour esoterico
Il 1986 è probabilmente il momento più libero e imprevedibile del quadriennio, un anno in cui registi visionari diedero forma a mondi surreali, miti moderni e narrazioni ibride. Labyrinth di Jim Henson ne è l’emblema assoluto: un film costruito come un grande spettacolo artigianale, in cui pupazzi, trucchi scenici, illusioni prospettiche e creature animatroniche compongono un universo fiabesco unico. La presenza magnetica di David Bowie, la dimensione musicale e la struttura a tappe rendono questo film un esempio straordinario di come la fantasia possa essere tangibile, teatrale e profondamente emotiva. Accolto freddamente all'uscita, è oggi uno dei cult più iconici dell’intero cinema fantastico. Di tutt’altra natura ma altrettanto influente è Highlander, fantasy urbano che trasporta l’epica in una New York rude e postmoderna. Il concetto degli immortali che attraversano i secoli, la colonna sonora dei Queen e il montaggio ispirato al linguaggio dei videoclip rendono questo film un classico che anticipa l’immaginario seriale e transmediale degli anni Novanta e Duemila.
Il 1986 è anche l’anno di un altro cult visionario, Big Trouble in Little China, in cui John Carpenter fonde folklore cinese, arti marziali, magia, action e humour in un’opera postmoderna che all’uscita risultò indecifrabile ma che negli anni è stata elevata a pietra miliare del fantasy pop. In questo panorama, un ruolo particolare lo riveste Il bambino d’oro, che mette insieme la comicità esplosiva di Eddie Murphy con un immaginario esoterico, creature demoniache e alcuni dei primi innesti significativi di CGI. Il film dimostra come Hollywood cercasse in quegli anni di integrare linguaggi popolari – dalla stand-up comedy all’action – all’interno di trame fantastiche, rendendo il genere più accessibile e urbano. Insieme, questi film formano un corpus di opere capaci di ridefinire la fantasia come spazio libero da confini precisi, pronto ad accogliere musica rock, umorismo, misticismo orientale, avventura metropolitana e architetture di pupazzi.
1987 e l’esplosione definitiva: meta-fiaba, horror-fantasy e immaginario pop crossmediale
Il 1987 rappresenta l’esplosione finale di questa stagione d’oro, l’anno in cui il fantasy si afferma come territorio di piena libertà narrativa e stilistica. È l’anno di The Princess Bride, una delle opere più eleganti e intelligenti mai realizzate nel genere. Rob Reiner costruisce una fiaba romantica che è al tempo stesso una riflessione meta-narrativa sul potere della storia e della tradizione orale. Il duello tra Inigo Montoya e il conte Rugen, le citazioni ironiche e la struttura che alterna racconto e cornice rappresentano un punto di equilibrio raro tra intrattenimento e consapevolezza meta-letteraria. Sul fronte dell’horror-fantasy, Evil Dead II di Sam Raimi porta lo slapstick demoniaco a un livello di creatività assoluta: possessioni, portali, violenza cartoonesca e tempi comici perfetti si fondono in una rappresentazione delirante della magia nera. Il film è un manifesto della libertà visiva del periodo e uno dei più influenti per il cinema fantastico successivo.
Nello stesso anno, Hollywood esplora anche territori più leggeri e orientati a un pubblico giovane con Monster Squad, che rilegge i mostri classici della Universal in un’avventura per ragazzi, anticipando la nostalgia pop di molte opere contemporanee. In parallelo, Masters of the Universe inaugura uno dei primi esperimenti di grande scala nel portare sullo schermo un franchise nato da giocattoli e cartoon. Nonostante i limiti produttivi, il film testimonia l’interesse crescente dell’industria per universi crossmediali e per una fantasia in dialogo con il merchandising, il mercato televisivo e la cultura pop. Il 1987 consacra così il fantasy come un genere capace di esistere su più livelli: romantico, grottesco, epico, comico o apertamente commerciale.
Conclusione: quattro anni irripetibili di invenzione artigianale e immaginario senza confini
Riletti nel loro insieme, i film del quadriennio 1984-1987 testimoniano una straordinaria vitalità creativa. Sono opere che precedono l’era del digitale ma anticipano molte delle sue intuizioni, che si nutrono di artigianato scenico, trucco prostetico, miniature, animatronica e dei primi timidi esperimenti CGI. La loro forza sta nella varietà: fiabe oscure, commedie soprannaturali, adventure sentimentali, horror-fantasy deliranti, miti urbani e mondi paralleli costruiti con una libertà formale oggi quasi impensabile. Molti di questi film furono inizialmente fraintesi o accolti con freddezza, ma sono stati rivalutati perché capaci di toccare corde emotive profonde e di incidere nell’immaginario collettivo. La loro eredità è visibile ovunque: dalla rinascita estetica delle creature pratiche al ritorno della dark fantasy, fino allo humour meta-fantastico e alla nostalgia pop. Rivederli significa ritornare a un’epoca in cui il cinema credeva senza riserve nella possibilità dell’incanto e sperimentava con un entusiasmo puro, artigianale, contagioso. Un’epoca breve ma luminosa: una stagione davvero irripetibile della fantasia cinematografica.


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