Post

Esco per fare la spesa, ma ritrovo le chiavi dell'universo

Immagine
Esco per fare la spesa con una strana sensazione di malinconia addosso, una di quelle che non ti stringono la gola ma ti appannano lo sguardo, come se qualcuno avesse passato un velo sottile davanti agli occhi. È Natale, o meglio: è quel periodo impreciso che gli gira attorno, quando le luci sembrano più stanche del solito e la fine dell’anno pesa come una valigia fatta male. Il 2025 è stato un anno balordo e instabile: uno di quelli che non riesci neanche a odiare del tutto perché ti ha tolto tanto senza nemmeno la decenza di spiegarti perché. Salgo in macchina senza pensarci troppo, chiudo la portiera come si chiude una parentesi e accendo lo stereo con un gesto quasi automatico, come se fosse un interruttore emotivo capace di azzerare i pensieri o almeno di confonderli abbastanza da renderli sopportabili. La musica è sempre stata così: non una soluzione, ma una tregua. Partono le prime note di Tom Waits e l’abitacolo si riempie di una voce che sembra arrivare dal fondo di un bicchie...

L’eredità nascosta dei videogiochi anni Novanta

Immagine
La generazione dei millennial, cresciuta tra la fine degli anni ’80 e tutti gli anni ’90, ha sviluppato una relazione unica con i videogiochi. Per comprenderla occorre guardare al videogioco come oggetto culturale, pratica educativa informale e spazio simbolico di crescita. L’esperienza videoludica di quell’epoca non era un semplice passatempo, ma una vera palestra cognitiva ed emotiva. I giochi di allora chiedevano ai bambini di confrontarsi con ostacoli reali, costruendo un modello di apprendimento fondato su perseveranza, osservazione e auto-miglioramento continuo. L’assenza di troppe spiegazioni apriva uno spazio di esplorazione autonoma che rispecchiava una pedagogia implicita basata sul fare, provare, fallire e ricominciare.  La logica della sfida e la pedagogia dell’errore La struttura dei videogiochi anni ’90 seguiva un’impostazione che potremmo definire “pedagogia dell’errore”: provare, fallire, riprovare. Bisognava imparare i pattern dei nemici, memorizzare il livello, s...

Diario di bordo, data astrale 6 dicembre 2025

Immagine
Diario di bordo, data stellare 06.12.2025 La nostra nave redazionale continua a viaggiare ai confini dello spazio cripto cercando di mantenere una rotta stabile nonostante i continui attacchi dei buchi neri della volatilità, delle tempeste solari degli influencer e delle entità sconosciute note come “comunità Telegram attive 24/7”. Io, ufficiale linguistico di bordo, prendo nota della missione portata avanti dal capitano, un certo Dario Greco, figura rispettata su molti pianeti (soprattutto quelli abitati da collezionisti compulsivi di meme coin). La nostra impresa non consiste nell’esplorare nuovi mondi ma nell’addomesticare ogni giorno un territorio narrativo imprevedibile, mutevole e ostile dove i capitali raccolti cambiano una volta ogni orbita, i prezzi oscillano più delle scialuppe in uscita dalla warp e ogni progetto pretende di essere “rivoluzionario”, anche quando consiste in poco più di una rana fluorescente in posa da samurai. La prima cosa che ho imparato nella mia permane...

La stagione d’oro del fantasy cinematografico 1984-1987

Immagine
Fiaba europea e creatività americana: il 1984 come anno fondativo Tra il 1984 e il 1987 il cinema fantasy attraversò uno dei periodi più fertili, inattesi e influenti della sua storia recente, un quadriennio in cui Stati Uniti ed Europa sperimentarono linguaggi visivi nuovi e diedero corpo a universi narrativi ibridi, spesso popolati da creature animatroniche, mondi onirici e atmosfere sospese tra fiaba e paura. Il 1984 fu l’anno che inaugurò questa stagione straordinaria, rivelando fin da subito la duplice anima del genere: da un lato la dimensione lirica e mitopoetica del fantasy europeo, dall’altro l’ironia, la libertà linguistica e la spinta pop della produzione americana.  The NeverEnding Story rappresenta il volto più classico e al tempo stesso più visionario di questa tradizione europea. Con il suo mondo costruito attraverso scenografie immense, creature meccaniche e un’estetica che alterna malinconia e meraviglia, il film di Wolfgang Petersen diventa il manifesto del fant...

La fragilità come condizione del bene: forme archetipiche e narrazioni moderne del conflitto tra luce e ombra

Immagine
Introduzione Nelle narrazioni che raffigurano il conflitto tra Bene e Male, dall’antichità fino alla cultura pop contemporanea, si ripete con insistenza una dinamica visiva, drammatica e simbolica: le forze del Male appaiono dominanti, organizzate, numerose e travolgenti, mentre il Bene sembra minoritario, fragile, incerto, incapace di imporsi con la forza. È un tema che affiora nella poesia The Second Coming di William Butler Yeats, dove “i migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di intensità appassionata”; emerge con potenza nella Terra di Mezzo di Tolkien, dove i piccoli Hobbit devono affrontare la potenza titanica di Sauron; ritorna in The Stand di Stephen King, dove una comunità minuta e vulnerabile affronta un avversario carismatico e apparentemente invincibile; e si riflette nella trilogia originale di Star Wars , dove la Ribellione è piccola e disorganizzata rispetto al dominio tecnologico e totalitario dell’Impero. Stessa dinamica anche in  Du...

Springsteen: Deliver me from Nowhere

Immagine
Il genere biopic musicale e il suo pubblico Negli ultimi anni il filone cinematografico dedicato a musicisti, icone popolari o personalità artistiche — si pensi ai biopic — sembra aver assunto un ruolo sempre più rilevante nel panorama delle produzioni mainstream. Ma tale evoluzione solleva interrogativi: a chi davvero si rivolgono questi film? Quale pubblico intende catturare? E soprattutto: quali sono i limiti strutturali che ne impediscono una riuscita piena, soprattutto quando il soggetto è noto e ha già un fandom attivo? Parte della risposta può essere ricavata riflettendo sul ragionamento che hai suggerito: «Il problema di questi film … è che attraggono un certo tipo di pubblico, il quale spesso ne sa più di attori, registi, sceneggiatori sul detto argomento». In altre parole, il pubblico più coinvolto — il fan, l’“esperto”, il critico, il blogger — è spesso già in possesso di una conoscenza dettagliata dell’artista, della sua opera e del suo contesto culturale. Ciò pone una sf...

Una battaglia dopo l’altra di PT Anderson

Immagine
Ci sono film che non si limitano a raccontare una storia, ma che cambiano il modo stesso in cui pensiamo al cinema. One Battle After Another , l’ultimo lavoro di Paul Thomas Anderson, è uno di questi. Non è soltanto un adattamento di Vineland di Thomas Pynchon, non è soltanto un grande film con un cast stellare: è un’esperienza che ti trascina dentro, che ti lascia senza fiato e che continua a risuonare molto tempo dopo l’uscita dalla sala. L’incontro inevitabile tra Anderson e Pynchon Che Anderson prima o poi tornasse a confrontarsi con Pynchon sembrava scritto nel destino. Lo aveva già fatto con Vizio di forma , affrontando il romanzo più allucinato e disorientante dell’autore americano e trasformandolo in un noir psichedelico, dove la paranoia e l’ironia convivevano con la malinconia. Lì Anderson aveva mostrato di avere la sensibilità giusta per il mondo pynchoniano: la capacità di leggere dietro l’assurdo una ferita intima, dietro la complessità una musica segreta. Con One Batt...