Paolo Sorrentino vs Mindfulness: d’amore di morte di noia

Paolo Sorrentino vs Mindfulness: d’amore di morte e di noia

Dopo aver visionato un reel su Facebook dedicato al nuovo film di Paolo Sorrentino, ho scritto di getto questo commento, senza però pubblicarlo nell’immediato. Ho provato invece a riflettere sul concetto di età, esperienza, stato dell’arte e noia. A differenza del regista partenopeo, nel corso della mia vita ho provato con scarso successo a scrivere diversi racconti ispirati a Miller, Celine, Kerouac, Mann, Proust e Kafka con risultati davvero insoddisfacenti. Non conosco benissimo Flaubert, ma ritengo di avere un’infarinatura sulle nozioni che stanno alla base del realismo francese, per merito della mia insegnante di liceo, la professoressa Galasso, che c’ha tenuto davvero tanto a darci un po’ di basi letterarie, durante il biennio. Io ero uno studente svogliato e distratto, ma qualcosa si accese ugualmente, probabilmente per via di un remoto e vago interesse per i sonetti di Shakespeare, letti dopo aver terminato le scuole medie. Ricordo anche una passioncella per l’Amleto e Sogno di una notte di mezza estate. Questo per dire che con me uno come Sorrentino, prodigio della generazione passata e figlio naturale del liceo classico, non ha per niente vita semplice. Conosco le basi dell’arte drammaturgica e ho conservate nella memoria remota le nozioni e il sacrificio di un’ossidoriduzione, delle derivate, dei principi base filosofici, di qualche formula e legge fisica. Insomma io a scuola, mio malgrado, ci sono andato, eccome.  
Proprio per questo, spero di avere una visione più ampia e trasversale, arrivato all’età di Sorrentino. Parliamo di un regista che non ha mai superato il trauma dell'adolescenza. A mio parere sarebbe da studiare, in termini psichiatrici e/o psicologici. Fosse il mio campo, mi rivedrei tutte le sue opere, partendo da quest'ultima e andando a ritroso. Di recente ho rivisto “L'uomo in più” a spezzoni, perché non reggo tutto quel pessimismo per più di 15-20 minuti a botta. Come spesso accade, lo ricordavo diverso come film, avendolo visto la prima volta durante la primavera 2006, più di 18 anni fa. Mi era molto piaciuto, forse perché venivo da una situazione complicata e conflittuale a livello emotivo e sentimentale. Nello stesso periodo recuperai anche Le conseguenze dell'amore, film devo dire molto azzeccato e superiore rispetto all' Uomo in più. Ho apprezzato anche L' amico di famiglia e in larga parte Il divo, di cui dopo averlo visto al cinema comprai il Dvd. This Must Be the Place a livello narrativo credo sia stato il suo ultimo vero film. Dopo quello ha iniziato a fare cose più alla Henry Miller, Bukowski e Celine. Non sono vere e proprie storie, ma opere dove l'autore si specchia e si racconta attraverso una sorta di artificio. Il sodalizio con Umberto Contarello, sceneggiatore esperto, gli varrà l'Oscar per La grande bellezza, ma da quel momento in poi del vecchio Sorrentino rimane poco, forse niente. Eppure dopo i meno riusciti Youth - La giovinezza e Loro, il regista napoletano torna a casa per riabbracciare gli affetti e rivivere i fantasmi del passato e della sua traumatica gioventù. Sorrentino perde in un incidente entrambi i genitori ed è di fatto un orfano. Proprio come il suo cinema, gli manca qualcosa di fondamentale, in età formativa. Devo ancora recuperare l'ultimo Parthenope, ma dopo aver rivisto "E' stata la mano di Dio" e "L'uomo in più" penso di essere davvero troppo distante in termini di educazione sentimentale da Paolo Sorrentino, per poterlo considerare un autore davvero importante e a me tanto caro. Mi è capitato di recente con altri autori, scrittori e musicisti. Credo sia dovuto a uno scatto di maturità, di desiderio di cambiare, vivere meglio la propria vita. Ed è lo stesso principio che seguo quando mi vengono sottoposti dischi di Nick Cave, film di Lars Von Trier, libri di Philip Roth e Cormac McCarthy. 

Sarà colpa del Mindfulness? Di Van Morrison? Dell'estate trascorsa al mare? Sarà che il desiderio di positività è una droga? E chi può dirlo? 

Per il momento mi godo la sensazione di un ritrovato entusiasmo, ottimismo nei confronti della vita, di tutto ciò che ci circonda e ci attraversa. Hic et nunc, qui e ora, adesso. Lo dicevano i latini e si usava per indicare una cosa che non ammette proroghe nella sua attuazione. Si chiama vita, non a caso e per caso, dico bene?

Postilla

Ora, essendo una persona piuttosto incoerente, ma curiosa, che non sa niente, ma a cui piace tutto, sono andato a vedere Parthenope al cinema. Premesso che non si tratta del miglior film di Sorrentino, faccio comunque molta fatica a comprendere la maggior parte dei commenti critici, recensioni e video dedicati a quest’opera. Nel senso che è un film relativamente semplice da capire e da vedere, mentre dai feed traspare una sensazione diametralmente opposto e incoerente con quello che ho visto. Ci sono diversi strati di lettura, ma sono tutti davvero differenti. Mi ha anche ricordato per certi versi Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, film imperfetto, ma visivamente affascinante e al contempo, grottesco, ripugnante, scorretto. Forse verrà capito tra qualche anno, forse è solo un passo falso nella filmografia del cineasta napoletano. Rappresenta però la sua idea di cinema, di fotografia e di messa in scena. C’è tanto Fellini, ma non solo. C’è tanto mito-modernismo, ma incompiuto, abbozzato. Ma soprattutto ci sono citazioni a Billy Wilder, al cinema del passato e a quando le persone sapevano godersi un momento, leggendo un buon libro di John Cheever. Ci sono i rituali, i tic e l’antropologia culturale che una città magmatica, ricca come Napoli è capace di donare, senza prendere. Come una canzone di Enzo Avitabile, come un’ossessione di un Cocciante in preda alle paturnie d’amore e al rifiuto bruciante. C’è il mare di Omero e c’è Capri, che pare uno spot Campari, in tutta la sua grandezza e magniloquenza. Ci sono momenti di alto, altissimo umorismo, anche, ma bisogna saper setacciare e ripulire una visione assoluta, totalizzante, della vita della morte e della noia, dell’inutilità delle nostre vacue esistenze. C'è l'ultima ridda della nostra innocenza perduta, irrimediabilmente devastata, guastata. 

Dario Greco Web Writer

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